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Tribunale di Commercio di Senigallia (1647-1856) – INVENTARIO a cura di Maria Tatiana Papi

L’archivio del Tribunale di Commercio di Senigallia, che è conservato nell’archivio storico comunale, ospitato presso il Palazzetto Baviera, è stato riordinato e inventariato nel 2014. E’ costituito da documenti dal 1771 al 1846. Si tratta di regg. 43, fascc. 35, pacco 1, ff. sciolti 2 in bb. 8, regg. 50 in mazzi 4. Il fondo archivistico illustra le funzioni di questa magistratura temporanea che esercitava la sua funzione giudiziaria durante le fiera franca della Maddalena.
Nel riordinare i documenti appartenenti al Tribunale di commercio sono stati ritrovati frammisti quelli denominati “Carte e documenti Matioli”. Si tratta di pratiche e di documenti per la discussione di cause, di polizze di affitto, di corrispondenza di cui si è occupato l’archivista e notaio della comunità di Senigallia, Angelo Maria Matioli, e, dopo la sua rinuncia, avvenuta nel 1822, il figlio, Pier Lorenzo, in qualità di archivista e notaio. Sono stati mantenuti in relazione con quelli del Tribunale di commercio perché Angelo Maria Matioli ha anche svolto, contemporaneamente, la funzione di cancelliere del tribunale.
Questo fondo con estremi cronologici 1647 -1856 ha una consistenza di regg. 3, fascc. 18, filze 3, mazzi 1, pacco 1, pacchetti 5, quinterno 1, fogli sciolti 5, in bb. 5.

Il tribunale di commercio, detto anche “Consolato di fiera“, era una magistratura temporanea che svolgeva la sua funzione giudiziaria nel dirimere le controversie civili che potevano nascere a Senigallia durante lo svolgersi della fiera franca della Maddalena. Una fiera che aveva reso celebre la città richiamando mercanti non solo dal Ducato di Urbino ma dallo Stato pontificio, dal Ducato di Ferrara, dalla terraferma di Venezia, dalle regioni orientali dell’Adriatico. Raggiuse il suo massimo sviluppo e la maggiore vitalità mercantile nel secolo XVIII. Ogni anno la comunità si preoccupava di vedersi garantire dalle autorità centrali il permesso di celebrarla e la sua durata variava nel corso del Settecento: 13 giorni fino al 1744, 18 fino al 1786, 40 nel 1787, 36 giorni dal 1788 in poi (1° luglio – 5 agosto). Richiamava numerose presenze, permetteva ai mercanti di incontrarsi e di trattare negozi in tempi brevi, con la sicurezza di concludere nel giro di pochi giorni affari vantaggiosi.

Un problema che le autorità senigalliesi erano chiamate ad affrontare era quello dell’amministrazione della giustizia nel periodo della fiera, con riferimento alle vertenze tra mercanti; vertenze che erano di competenza del Legato che, dalla fine del secolo XVII, si faceva rappresentare da un uditore, inviato con il titolo di “Governatore di fiera”. Si voleva stabilire un modo facile e breve di giudicare secondo l’equità, ma col minor dispendio possibile quelle cause, che dai contratti non ben intesi o non perfettamente compiuti potevano nascere fra mercanti, presenti in fiera. Per questo veniva istituito, nel 1716, il Consolato di fiera. Proposto dal gesuita Augusti al Cardinal Legato Davia che, nel 1716, firmava i capitoli che regolavano questa magistratura, prendendo a modello quelli adottati nella fiera di Recanati. I capitoli, modificati dal Legato Salviati, erano definitivamente approvati nel 1752 dal pontefice Benedetto XIV. La modifica apportata ai capitoli comportava che il Legato e i suoi successori nominassero sempre i Consoli e non solo la 1^ volta, come accadeva in origine, segno della volontà, da parte dell’autorità superiore, di esercitare un controllo maggiore e diretto.

Il Consolato di fiera, entrato in funzione il primo anno, era composto dal Luogotenente di Senigallia, da due gentiluomini del consiglio comunale, (uno di questi doveva essere “dottore”), e da due mercanti, uno dello Stato pontificio e uno in rappresentanza delle nazioni estere presenti in fiera. I Consoli dovevano riunirsi due volte al giorno: la mattina un’ora prima di mezzogiorno, e la sera un’ora prima del tramonto e decidere, con il loro voto, brevemente, sommariamente, attesa la sola verità del fatto, all’uso dei fori mercantili, qualunque differenza, causa, lite nata tra mercanti e negozianti in occasione di qualche negozio, contratto e interesse stabilito in detta fiera, oppure riguardante la medesima fiera, come si legge nei capitoli approvati dal Legato Davia.
Per il sollecito disbrigo della causa si stabiliva che dalle sentenze di questo Tribunale non poteva ammettersi sotto qualunque causa, pretesto appellazione all’effetto sospensivo, ma solamente all’effetto devolutivo, non comportando né le materie mercantili, né le angustie del tempo della fiera che le cause fossero prolungate, o sospesa l’esecuzione della sentenza col sotterfugio o pretesto delle riferite appellazioni.

Il Luogotenente aveva la facoltà di ordinare il sequestro cautelativo o l’arresto di persone, riservando però il giudizio all’adunanza dei consoli. Doveva far rispettare le decisioni prese, anche nel caso in cui il suo parere non fosse favorevole ad esse, in caso di parità di voti il suo giudizio era determinante.
Le sentenze del Consolato avevano effetto di immediata efficacia, il ricorso era ammesso, ma in casi molto rari. Si voleva che tutto avvenisse in tempi brevi. La deposizione delle parti doveva essere registrata per iscritto dal notaio o dal cancelliere, i testimoni dovevano deporre con il solo giuramento davanti al notaio, senza altre formalità. Il notaio raccoglieva per iscritto le loro testimonianze. Quando si rendeva necessaria la ricognizione delle mercanzie contestate, questa doveva essere fatta dai consoli o da due periti eletti dai consoli stessi, assistiti dal cancelliere del Consolato o dal notaio.
Durante la 1^ occupazione francese venne istituito un Tribunale di commercio, composto di cinque giudici: il pretore del Cantone, il più anziano dei due assessori e tre negozianti e uno scriba. Le sentenze erano senza appello fino alla somma di duemila scudi, oltre questa somma le cause venivano giudicate dal tribunale civile del Dipartimento. Cessata la fiera, terminava la giurisdizione del tribunale ed ogni causa rientrava nei tribunali ordinari.

Nel 1802 il Delegato apostolico della Legazione di Urbino, Monsignor Giovanni Caccia Piatti, ricostituiva il Consolato di fiera, restituendogli il suo aspetto originario. Nello stesso anno il pontefice Pio VII concedeva a Senigallia il porto franco. Ma la città si avviava a perdere definitivamente la sua importanza e con essa quella della sua fiera, frequentata da mercanti di piccole dimensioni. Il Consolato di fiera nel periodo napoleonico venne sostituito da un Tribunale di commercio, composto da tre giudici che giudicavano controversie che trattavano importi non superiori alle 1200 lire e le sentenze avevano effetto sospensivo. Con la Restaurazione pontificia il Consolato di fiera venne ripristinato ed era formato dal Governatore con il titolo di presidente del tribunale, due consiglieri, uno dei quali doveva essere munito di laurea, appartenenti al consiglio comunale, e da due mercanti onesti, uno di Senigallia e uno fra quelli delle città dello Stato.

Il suo carattere di magistratura temporanea si coglie nel 1822, quando il Delegato apostolico comunica al Governatore che il tribunale di commercio di Senigallia non era più necessario se non per il solo periodo della fiera, in quanto era stato abolito il porto franco e durante l’anno era limitato il numero dei negozianti della città e del distretto governativo. Veniva ripristinato, quindi, il tribunale del Consolato durante il periodo della fiera, otto giorni precedenti e otto giorni seguenti. Composto dal Governatore di Senigallia in qualità di presidente, da due giudici e da due supplenti, scelti dal Legato di Urbino, fra i commercianti.
Rimase in vigore fino al 1861.

di Maria Tatiana Papi

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